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venerdì 24 agosto 2012

Dai massimi sistemi ai comportamenti

I "FONDAMENTALI" DEL MANAGER

  
Nel post precedente ho parlato dell’opportunità di passare da una formazione sull’ampiezza a una sulla profondità.
E a proposito di competenze dicevo “le tecniche base che possono fare la differenza nelle situazioni, nei mercati e nelle aziende specifiche erano una esigua minoranza. (…) Le quali sono poi quelle che stanno a cuore davvero al cliente, quelle che vanno definite prima in sede di progettazione dell’intervento formativo e che con il metodo TiPERSEI abbiamo denominato comportamenti bersaglio.”

Parlando di competenze manageriali, con TiPERSEI partiamo dal presupposto che, in ogni professione, il padroneggiare poche competenze di base fa la differenza tra il campione e il mediocre. Vale per tutti: che so, un violinista, un avvocato, uno sportivo, un manager. Proprio come un calciatore deve saper dribblare, tirare di piede e di testa, effettuare il passaggio breve ed il lancio, e così via (i suoi “fondamentali” appunto), un discorso analogo vale per il manager, indipendentemente dalla funzione specifica (commerciale, amministrazione, finanza, personale, produzione, ecc.).

Riportiamo qui, dalla modulistica TiPERSEI, una pagina della classificazione di questi fondamentali secondo noi (cliccare sull'immagine per ingrandirla):

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Nei quattro anni di sperimentazione che ci hanno portato a distillare TiPERSEI, abbiamo potuto isolare cinque aree di competenza che riuniscono i fondamentali del manager. Esse sono:

Diagnosi e decisioni
People management
Team working
Time management, programmazione e gestione dello stress
Negoziazione

In ognuna di esse abbiamo catalogato 62 (sessantadue) classi di abilità specifiche, tra le quali, di volta in volta, identifichiamo con il cliente quelle poche che costituiranno gli obiettivi fondamentali dell’intervento formativo e che in fase di progettazione del medesimo andremo a precisare in comportamenti bersaglio specifici.


Il caro, vecchio Pareto


DALL'AMPIEZZA ALLA PROFONDITA'
NELLO SVILUPPO DELLE COMPETENZE


Ah, la cara vecchia Legge di Pareto! Sapete, quella per cui “la maggioranza delle conseguenze è determinata dalla minoranza degli eventi”? Ecco, parliamo proprio di lei.
Quando ero un giovane formatore di belle speranze (molti capelli neri in più e qualche chilo in meno), ritenevo un mio preciso dovere trasferire ai “discenti” – oddio che brutta espressione! – tutte le tecniche di cui si poteva palare in un corso di formazione.


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Così per esempio un corso di tecniche di vendita spaziava dalla preparazione della visita al cliente alla fase di presa di contatto; dalle motivazioni di acquisto all’argomentazione, dal linguaggio assertivo alle tecniche di gestione delle obiezioni, dalla conclusione della vendita agli elementi non verbali e paraverbali.

L’esperienza mi ha poi insegnato che si trattava di un enorme spreco di energie: come si poteva verificare facilmente in affiancamento, il povero venditore si trovava a dover applicare un guazzabuglio di nozioni e tecniche che si affollavano nella sua mente e che cercava disperatamente di tenere presenti contemporaneamente.

Ma imparai con il tempo che le tecniche base che possono fare la differenza nelle situazioni, nei mercati e nelle aziende specifiche erano una esigua minoranza.
Ho portato le Tecniche di Vendita come esempio, ma un discorso analogo può esser fatto per il Public Speaking, il People Management, il Team working, e così via – in un prossimo post mi addentrerò a parlare appunto del concetto di “fondamentali” del management.

Presi coscienza con il passare degli anni che era assai più produttivo passare da un sviluppo delle competenze “in ampiezza” al concentrarsi invece sulla “profondità”: anziché affrontare in sequenza e con pari intensità di sforzo tutte o quasi tutte le tecniche, conviene assai di più profondere il massimo impegno in termini di tempo, esercitazioni, role playing eccetera eccetera soltanto sulle poche abilità che contano.

Le quali sono poi quelle che stanno a cuore davvero al cliente, quelle che vanno definite prima in sede di progettazione dell’intervento formativo e che con il metodo TiPERSEI abbiamo denominato “comportamenti bersaglio” (esiste una tecnica specifica che abbiamo messo a punto per isolarle e descriverle, ma ne parlerò in un altro post).

La differenza è sostanziale, perché in un “corso” l’impegno del trainer e dei trainee è spalmato e indifferenziato su tutte le abilità, sicché in termini di efficacia l’apprendimento rischia di non superare mai quella soglia critica che lo rende davvero produttivo. Invece, concentrandosi su poche abilità “che contano”, si ottiene – a parità di sforzo complessivo – di superare tale soglia quasi invariabilmente.