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lunedì 28 gennaio 2013

Quando l'inefficienza è nei dirigenti - 4


QUELLO CHE SI LAMENTA 
DEI PROPRI COLLABORATORI



Proseguiamo la serie di post sulle inefficienze causate dal comportamento quotidiano dei manager, in termini di gestione dei collaboratori o di problem solving & decision making.

Un giorno, quando non avevo ancora capelli bianchi ed ero un consulente junior di belle speranze in un grosso studio di Milano, il collega senior che mi seguiva mi disse: “non dimenticarlo, ci sono due tipi di manager: quelli che si lamentano dei loro collaboratori, e quelli che non se ne lamentano.”

Osservando la realtà, da allora ho potuto osservare innumerevoli volte che il collega aveva ragione. E ho constatato che, alla lunga, ogni capo finisce con l’avere i collaboratori che si è meritato. Beninteso: non voglio dire che se ha preso in mano un branco di incapaci deve trasformarli in geniali professionisti. Voglio solo dire che, con il materiale umano che ha a disposizione, un manager può lavorare per tirarne fuori il meglio (per poco che sia), o rassegnarsi e lamentarsene.

E’ altresì facile constatare che i manager scontenti del loro staff hanno poche, ma ricorrenti e diffusissime lamentele al riguardo. E difficilmente hanno a che vedere con l’intelligenza o l’esperienza delle persone. Quasi sempre, invece, sono lamentele inerenti alla loro disponibilità a collaborare lealmente e a mettersi in gioco: “sono rigidi”, “non sanno assumersi le loro responsabilità”, “sono polemici”, “non sono motivati”, e via elencando.

Quando si vanno ad osservare i comportamenti dei loro collaboratori, ci si accorge che a uno sguardo superficiale effettivamente c’è rigidità, scarso senso di responsabilità, o basso livello di motivazione.
Ma a una analisi più attenta ci si rende conto che la realtà è diversa, e che i collaboratori di quel manager non chiederebbero di meglio che essere lasciati agire in autonomia. Ci si accorge che non si assumono le proprie responsabilità perché le decisioni sono state tutte prese altrove, e loro sono solo esecutori – ai quali però viene imputata la “colpa” di tutto ciò che non funziona.

Insomma emerge molto spesso che, al di là delle lodevoli petizioni di principio sulla propria volontà di motivare e coinvolgere, il manager che si lamenta del proprio staff è un autoritario, e che magari non ne è nemmeno consapevole.
E’ l’esempio vivente del manager che abbraccia la teoria  “X” di Mc Gregor.
Secondo McGregor esistono due mentalità manageriali di fondo, tra loro opposte, ciascuna delle quali deriva da alcune credenze radicate, che chiamò teoria X, e teoria Y.

La teoria X vede l’Uomo come tendenzialmente inaffidabile. Secondo questo genere di convinzioni, le persone vivono il lavoro come un male necessario, ed evitano il più possibile l’impegno e l’assunzione di responsabilità, a meno che non viga un forte e visibile sistema di premi e punizioni.

Per chi crede nella teoria Y, invece, l’Uomo cerca nel lavoro gratificazioni di tipo anzitutto psicologico, è capace di autoregolare il proprio impegno in funzione della necessità senza bisogno di minacce, anzi si ritiene che i controlli e le punizioni tendano a limitare la sua naturale predisposizione ad agire con responsabilità e in autonomia.

E’ quasi inevitabile che il manager convinto della teoria X finisca con il trattare i suoi collaboratori come se davvero fossero inaffidabili.
Ecco allora che non chiede mai il loro parere su decisioni che li possono riguardare. Eccolo impartire ordini e istruzioni senza spiegare il perché delle decisioni retrostanti.
Ecco che chiede azione e iniziativa, ma al minimo errore istruisce un processo.
Ecco che trasforma con il proprio atteggiamento ogni critica, pur legittima, in una accusa.

Per dirla con Goleman, è un leader dissonante. Per citare Goleman stesso (Goleman et al., Essere Leader, BUR Saggi, 2008), “la dissonanza … si riferisce … a una mancanza di armonia. (…) Il dilagare della rabbia, della paura, dell’apatia e perfino di un silenzio pesante denota …dissonanza. (…) In poche parole, la dissonanza deprime le persone, le sfinisce, …comporta anche un alto costo individuale: le emozioni tossiche vissute nell’ambiente di lavoro continuano infatti a esercitare la loro azione venefica anche tra le pareti domestiche.”
Più oltre, Goleman rincara la dose: “Esistono innumerevoli tipi di leader dissonanti, che non solo mancano di empatia (e quindi non sono in sintonia con il gruppo), ma trasmettono emozioni generalmente risonanti su un registro negativo. Abbiamo constatato che la maggior parte dei leader dissonanti non è nemmeno consapevole di esserlo; semplicemente, essi difettano delle fondamentali competenze di intelligenza emotiva che consentirebbero loro di esercitare una leadership risonante.”

Ora, Goleman non nega che nel breve termine uno stile autoritario ed impositivo possa avere una certa efficacia: dopo tutto la paura ha degli effetti. Afferma però che questo metodo di comando non può essere usato nel medio-lungo termine, senza pessime ripercussioni sulla motivazione e la coesione del gruppo.
Questi manager confondono la meritocrazia con la paura. Ma la ricerca dei colpevoli non genera più responsabilità. Provoca invece un grande spreco di tempo e di energie delle persone, che non agiscono per non sbagliare, e che cercano di occultare i propri errori anziché porvi rimedio.

“Meritocrazia” non vuol dire che “chi sbaglia paga” – anche perché allora dovrebbero pagare anche loro, i manager…
Meritocrazia vuol dire incoraggiamento del merito. Quante volte si perde un’infinità di tempo per “ricercare il colpevole” di un errore, anziché la causa degli errori? Quanto denaro, in termini di costi occulti, si spreca, per il solo fatto che le persone avendo paura di prendere iniziative aspettano che il capo abbia finalmente il tempo par dare parere positivo, e nel frattempo tutto si ferma?

Non ci stancheremo di ripeterlo, i comportamenti quotidiani del manager, ben più che le grandi decisioni, possono essere determinanti sul funzionamento dell’azienda e sui costi che deve sopportare.



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LeaN (Leadership Needs Diagnosis Test): una metodologia pensata appositamente per individuare i comportamenti che generano costi occulti, inefficienze, ritardi.
LeaN è un’analisi integrata per la diagnosi veloce dei bisogni formativi dei manager e del clima aziendale nelle unità loro affidate.
Per rapidità, costo ed affidabilità, LeaN costituisce un prezioso strumento per le aziende che intendono programmare le azioni a supporto del cambiamento strategico e/o organizzativo.
LeaN utilizza due strumenti diagnostici: il test “MaSk” (Management Skills, un questionario di 102 domande per i manager) e il questionario Gallup12, da sottoporre ai loro collaboratori.

Rapidissimo (da tre a cinque giorni per leggerne i risultati) e ad un costo estremamente competitivo, LeaN può gettare un lampo di luce sui lati oscuri del funzionamento organizzativo.
Visita il nostro sito: www.vincisonsulenza.it
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lunedì 14 gennaio 2013

Quando l'inefficienza è nei dirigenti - 3


DECISIONI SBAGLIATE?



Proseguiamo la serie di post sulle inefficienze causate dal comportamento quotidiano dei manager, in termini di gestione dei collaboratori o di problem solving & decision making.

Tra le molte aziende che ho conosciuto in ventisei anni di attività consulenziale, ce ne sono alcune che sarà per me impossibile dimenticare. Tra queste desidero citarne una qui, il cui caso è particolarmente istruttivo.

Metà anni Novanta, Milano: l’azienda è un marchio storico nel mercato delle calze da donna, con un’ottima immagine di stile e qualità ma in crisi di fatturato. Il mercato è in contrazione di un 7% da un paio d’anni, ma la cifra d’affari dell’azienda, che chiameremo “Calzificio Rossi”, è in contrazione del 10-12% da un triennio –dal momento in cui il titolare Renato, per raggiunti limiti d’età, ha lasciato il posto alla figlia, Gianna Rossi.

Ossessionata dai costi, Gianna perse di vista il problema vero: il fatturato. Si diede così a contenere i costi sino all’assurdo (per esempio, e non sto scherzando, i dipendenti dovevano portarsi la carta igienica da casa), sottraendo linfa vitale all’azienda che, nel giro di pochi anni, semplicemente scomparve dal mercato.

Molte le scelte discutibili di Gianna, ma tra queste vorrei citare due classi di decisioni che parlano da sole.
La prima riguarda la distribuzione. Per recuperare i fondi di magazzino, istituì lo spaccio aziendale, che vendeva al pubblico le rimanenze -  e in sé non ci sarebbe nulla di male, dato che lo spaccio vendeva calze per 700 milioni di vecchie lire su un fatturato di circa undici miliardi. L’errore fu di aprire lo spaccio a Milano per non sostenere i costi del trasporto (lo si sarebbe potuto aprire per esempio in Sardegna, una regione non coperta dalla rete commerciale), perdendo così quasi tutti i clienti dettaglianti della città, per un valore annuo di un miliardo. Contemporaneamente venne chiuso il magazzino di distribuzione di Roma perché i suoi tre dipendenti rappresentavano un costo, ma ciò allungò di molto i tempi di consegna nel Lazio, con una ulteriore grave perdita di clientela.

La seconda aveva a che vedere con la pubblicità. Dopo averla sostanzialmente azzerata per un paio d’anni perché “costosa”, Gianna si lasciò convincere dal responsabile marketing a riprenderla, ma si limitò a un investimento di una quarantina di milioni di lire… in affissioni nelle stazioni della Metropolitana Milanese. Insomma l’unica pubblicità sopravvissuta era visibile solo dai cittadini di Milano, mentre l’emorragia di fatturato riguardava l’Italia intera. A fronte di questo modesto – e mal distribuito – investimento, Gianna aumentò i target di vendita di tutti gli agenti del 10%, in un momento in cui, lo ripetiamo, il mercato perdeva il 7. Risultato? Un drammatico calo dell’impegno degli agenti, in massima parte plurimandatari.

L’abito mentale del manager, che si riverbera sui suoi comportamenti quotidiani, può  quindi avere un peso importante sul funzionamento dell’azienda e – in definitiva – sul suo conto economico.
Ricordo che Gianna usava aprire le riunioni con i suoi manager con questa frase: “dite i vostri pareri, li ascolto; tanto, poi, decido solo io” – in realtà, li ascoltava molto poco.

La cosa buffa, o tragica, è che Gianna era tutt’altro che pazza. Anzi si trattava di una donna intelligente, con un ascendente notevole sui collaboratori, che infatti obbedivano senza fiatare, e devo dire non tanto per paura quanto proprio perché sentivano la sua leadership.
Qualche mio lettore potrà pensare che si tratti di un caso limite, e probabilmente ha ragione. Tuttavia non è paradossale per la qualità degli errori, ma solo per il fatto che si sono concentrati tutti nello stesso periodo, nella stessa azienda e… nella stessa persona!

Ho citato questa esperienza perché, nella sua assurdità, segnala e descrive bene a quali conseguenze può portare un manager che ha in mano una struttura che funziona(va), ma non sa prendere decisioni.
Senza arrivare agli eccessi di Gianna, quanti imprenditori o Direttori Generali possono dormire sonni tranquilli sulla razionalità delle decisioni di tutti i loro manager?
Ancora una volta, sono le competenze dei dirigenti che possono fare la differenza…


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giovedì 10 gennaio 2013

Quando l'inefficienza è nei dirigenti - 2


TEMPI “GEOLOGICI” PER 
LE DECISIONI IN AZIENDA?



Proseguiamo la serie di post sulle inefficienze causate dal comportamento quotidiano dei manager, in termini di gestione dei collaboratori o di problem solving & decision making.

Tra i tanti costi occulti presenti in azienda, ce n’è uno assai diffuso: quello della lentezza nel prendere decisioni o nell’applicarle, una lentezza che molti ritengono esasperante ma che nessuno, apparentemente, sa come eliminare.

Semplificando al massimo, si può dire che, nel caso della presa di decisioni, di norma questo processo “sale” dal basso, nel senso che l’Alta Direzione perviene a una decisione dopo aver raccolto informazioni ed ascoltato pareri provenienti da coloro che direttamente rispondono ad essa: i manager di primo livello – i quali a loro volta, per procurarsi informazioni, spesso consultano i propri collaboratori.
L’applicazione di decisioni già prese, invece, prosegue dall’alto verso il basso, a cascata: l’Alta Direzione impartisce le necessarie istruzioni ai manager di primo livello i quali a loro volta le trasmettono ai loro primi riporti, e così via a scendere.

In entrambi i processi, il luogo in cui si concentra la maggior parte della comunicazione è la riunione. Ed è quindi nella riunione che si possono osservare le ragioni dell’efficienza di un’organizzazione oppure, al contrario, alcune tra le maggiori cause della sua inefficienza.
Che si tratti di decisioni routinarie o periodiche (come la stesura del budget), o strategiche e straordinarie, i tempi possono fare la differenza tra il successo e l’insuccesso.

Per fare un esempio, ho visto miei clienti che iniziano a lavorare al budget dell’anno successivo nel mese di luglio e si promettono ogni volta che il documento finale verrà approvato entro la fine di ottobre, ma a Natale ancora non è stato completato, con un ritardo minimo di due mesi e mezzo. Se questo ritardo riguarda tutte le decisioni di rilievo, non c’è poi da stupirsi se quest’azienda è sempre in ritardo rispetto al mercato, ai concorrenti o semplicemente rispetto alla necessità di fronteggiare, poniamo, un repentino aumento dei costi, con le conseguenze che è facile immaginare sul conto economico d’esercizio.

Di recente, un’azienda ha rimandato per mesi l’approvazione di un progetto formativo (doveva essere approvato in giugno, è stato approvato in ottobre): nel frattempo gli enti finanziatori hanno imposto un drastico taglio al loro budget, con il risultato che il progetto è stato poi finanziato a metà. Un danno di migliaia di euro.

All’estremo opposto, ci sono aziende in cui l’Alta Direzione, in nome del decisionismo, semplicemente non fa quasi riunioni, prende decisioni senza le informazioni necessarie e senza consultare prima coloro che poi dovranno applicare le decisioni stesse: il che spesso significa che non verranno applicate correttamente, o che si rivelano inapplicabili o addirittura sbagliate. Ma non è questo il caso che vogliamo analizzare qui.

Dicevamo delle riunioni. Le ragioni dell’inefficienza possono annidarsi proprio lì: riunioni alle quali le persone arrivano impreparate, cioè senza le informazioni necessarie; riunioni in cui il dibattito non è moderato efficacemente, per cui si risolvono in una replica inconcludente delle assemblee di condominio; riunioni in cui l’unico obiettivo è mettersi al corrente l’un l’altro dello stato di avanzamento dei lavori nei più piccoli dettagli, sicché dopo dodici ore di meeting le persone, annoiate e stravolte, hanno ascoltato sì e no un terzo di quanto si è detto; riunioni che si concludono senza una conclusione, cioè senza nessuna decisione né alcuna azione che sia stata ufficialmente statuita per dare seguito alla riunione stessa… e l’elenco delle magagne potrebbe continuare a lungo.

Spesso sento dire allora che le riunioni non servono, che se ne fanno anche troppe, o che la colpa di tutto questo è in una carenza di “galateo aziendale” da parte di chi  vi partecipa.
Può esserci del vero, ma diciamoci la verità: il difetto, di solito, è nel manico.
Voglio dire: se le persone arrivano impreparate, è perché chi ha convocato la riunione accetta che siano impreparate – o non ha chiarito bene gli obiettivi della riunione stessa.
Se il dibattito degenera in una discussione infinita e sterile su “chi ha ragione”, la responsabilità è di chi dovrebbe moderarlo: cioè in ultima analisi di chi ha indetto la riunione.
Riunioni di dodici ore con altrettanti interventi, un ordine del giorno chilometrico (e per finire la ciliegina sulla torta: le famigerate “varie ed eventuali” che invariabilmente allungano il meeting di un’ora come minimo) sono una condanna per chi vi partecipa, ma un errore per chi le ha concepite in questo modo.
E se una riunione finisce senza costrutto, è perché chi doveva guidarla a una conclusione utile non lo ha fatto.

Di frequente questi fenomeni visibili sono però i sintomi di una carenza del manager: o nella gestione dei propri collaboratori, che evidentemente non ha li saputi motivare o formare a dovere per le riunioni, o nel suo processo di problem solving e decision making: per cui, non avendo chiaro in testa il corretto processo di elaborazione delle diagnosi o delle decisioni, ovviamente faticherà a guidare le riunioni con efficienza.

I comportamenti quotidiani del manager, anche riguardo alle riunioni, possono quindi avere un peso importante sul funzionamento dell’azienda e – in definitiva – sul suo conto economico.

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Per rapidità, costo ed affidabilità, LeaN costituisce un prezioso strumento per le aziende che intendono programmare le azioni a supporto del cambiamento strategico e/o organizzativo.
LeaN utilizza due strumenti diagnostici: il test “MaSk” (Management Skills, un questionario di 102 domande per i manager) e il questionario Gallup12, da sottoporre ai loro collaboratori.

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domenica 6 gennaio 2013

Quando l'inefficienza è nei dirigenti - 1


QUANTO “VALGONO” I COMPORTAMENTI QUOTIDIANI DEI MANAGER?



IL CASO DELLA JOVIS s.r.l
UNA ANALISI "LeaN"  (1)

In un precedente post (http://metodotipersei.blogspot.it/2012/09/ecco-le-prove.html) abbiamo dimostrato che la motivazione del personale si riverbera sugli utili in misura rilevante e a costi inferiori”, e che agire su di essa non è tanto una questione di politica aziendale (in termini di premi e incentivi ad esempio), quanto di comportamento quotidiano del manager nel rapporto professionale con i suoi collaboratori.

La differenza, in risultati economico-finanziari, può essere decisiva: i dati rilevati da GALLUP, e che abbiamo riportato, indicano che un manager abile nel motivare ogni giorno il suo personale può portare a utili superiori anche del 40% e oltre rispetto a un manager che non lo è.

In un momento in cui le aziende sono alla disperata ricerca di “ossigeno”, questo è un aspetto che deve far riflettere.

Per questa ragione, inauguriamo una serie di post in cui ci proponiamo di portare alcuni esempi pratici che possono concorrere a spiegare il fenomeno.
Un caso illuminante è quello di un’azienda (immaginaria, ma non troppo…), che qui chiameremo con il nome di fantasia “Jovis”, che tra il 2009 e il 2011 lo ha vissuto sulla propria pelle.
Essa produce da una quarantina d’anni apparecchi elettromedicali, che vende in tutta Italia attraverso una rete di 25 agenti, coordinati dalla Sales Manager (d.ssa Rossi).
Dispone di un impianto tecnico-produttivo (“plant”) con 32 addetti, che rispondono all’ingegner Esposito. Il dr. Marelli è invece il Chief Financial Officer, a capo dell’Amministrazione e Finanza, dove lavorano 9 persone.

Alla fine del 2009 i risultati economici erano preoccupanti. A fronte di un fatturato
che nonostante tutto “teneva” ancora (30 milioni di Euro), con un decremento del 2% rispetto al 2008 (-7% rispetto al budget), per la prima volta nella sua storia l’azienda chiudeva l’esercizio con una perdita di circa 75.000 euro, derivanti sia da un eccesso di sconti alla clientela, sia da un aumento significativo degli errori e degli scarti di produzione.
Inoltre alcuni clienti erano passati alla concorrenza, lamentando inefficienze e ritardi
nei rapporti con l’Amministrazione e finanza.

Si prospettava la possibilità che, se nel 2010 le cose non fossero cambiate, l’Azienda si vedesse costretta a ricorrere alla Cassa Integrazione o al licenziamento di alcuni dipendenti in esubero.
Il Chief Executive Officer, dr. Andrea Jovis, consapevole che – di qualsiasi riorganizzazione si sarebbe trattato – l’azienda avrebbe richiesto ai suoi manager una gestione più moderna, desiderava capire quanto I tre dirigenti fossero pronti, per mentalità e retroterra, a tale cambiamento, ma anche avere un’idea più precisa riguardo al clima psicologico creatosi nel tempo tra i loro collaboratori, per poter prendere le decisioni del caso.

Effettuò quindi una analisi con la metodologia LeaN, cioè attraverso il test GALLUP 12 – lo potete richiedere scrivendoci: vincisas@libero.it – e il test MaSk, che presenteremo a fine mese, ma che possiamo già definire come un questionario, per la verifica di 11 diversi aspetti delle competenze di People Management e del processo diagnostico-decisionale del manager. Esso venne somministrato ai tre dirigenti nello stesso pomeriggio in cui, a turno, i vari reparti erano chiamati a rispondere alle dodici domande del test GALLUP. Tre giorni dopo il dr. Jovis poté prendere visione dei risultati.

In particolare, emerse dal test MaSk quanto segue:


Ing. Esposito, Plant Manager: buone capacità generali, sia a livello diagnostico, sia a livello decisionale: le sue abilità diagnostico-decisionali  denotano una certa predisposizione all’analisi logico-razionale il che lo rende abile nella soluzione di problemi di natura tecnica.  E’ però meno a suo agio con i sistemi umani ed organizzativi e nelle situazioni caratterizzate da incertezza, laddove si richiederebbe un approccio sistemico, nel quale può migliorarsi.
Benché in teoria abbastanza sensibile alla crescita dei collaboratori, probabilmente anche per le richieste che l’Azienda rivolge a tutti i manager in questo senso, è però poco orientato ad individuarne i potenziali e ne conserva una visione piuttosto rigida ed autoritaria.


D.ssa Rossi, Sales Manager: Per il suo assetto mentale, appare assai più concentrata ed abile nella gestione dei suoi collaboratori che nelle diagnosi e nella presa di decisioni. Infatti la qualità delle risposte la colloca ben sopra la media nel people management (70,28 vs 53,67) ma al di sotto nell’area diagnostico-decisionale (50,68 vs 61,05).  Ciò concorre a spiegare il notevole seguito che ha saputo coagulare intorno a sé in poco tempo, ma la espone anche, nel medio o breve termine, al rischio di errori anche rilevanti, non solo sul piano tecnico o nelle relazioni con la clientela, ma anche nella gestione stessa del personale di vendita.


Dr. Marelli, Chief Financial Officer: La qualità delle risposte si colloca ben sopra alla media, sia per le competenze diagnostico decisionali (73,53 vs 61,05), sia per il People Management (73,12 vs 53,67). Siamo quindi di fronte, in generale, a una buona formazione di base che sembra ben interiorizzata. Eventuali difficoltà del soggetto, se presenti, dovranno quindi ascriversi a cause differenti, come ad esempio alla sua motivazione o a insufficienze nell’autoconsapevolezza; queste ultime potrebbero portare a comportamenti che, magari del tutto inconsapevolmente, sarebbero incoerenti con la formazione ricevuta.

I risultati del test GALLUP12 posero in evidenza che:

a) “in termini di motivazione intrinseca di base, le vendite sono sostanzialmente in linea con il profilo ideale; anche Finance, pur più distante, è in buona posizione, mentre lo stabilimento è significativamente lontano dall’optimum;”

b) “I neoassunti vengono ben accolti nelle vendite, con chiarezza di obiettivi e strumenti percepiti adeguati. Non altrettanto si può dire in Produzione o Finance, dove si palesa un certo disorientamento iniziale.
In particolare, mentre in Produzione il fenomeno riguarda in egual misura obiettivi e strumenti, in Finance questi ultimi sono percepiti dal neoassunto come sostanzialmente adeguati, mentre è pesantemente avvertita una scarsa chiarezza negli obiettivi.”

c) “a sei mesi dal loro inserimento, continua ad essere buona la motivazione dei nuovi addetti delle vendite, specie per gli incoraggiamenti ricevuti (comincia però a essere percepita qualche difficoltà nella crescita personale).  In Produzione solo l’interessamento personale del capo compensa le gravi difficoltà dei neoinseriti, senza incoraggiamenti specie per quanto riguarda la crescita. Recupera un po’ l’area Finance, dove i neoinseriti sono blandamente incoraggiati anche a crescere, pur avvertendo apprezzabili difficoltà nel poter fattivamente migliorare i processi.”

d) “Tra coloro che sono sopravvissuti al periodo di prova, resta buona la motivazione in area Sales, e c’è un buon recupero in Produzione e Finance. Sembra che in Produzione costoro riescano ad esser accettati dal gruppo dei colleghi – che a questo punto diviene accogliente – benché restino delle carenze: i collaboratori si sentono ancora poco ascoltati e continuano a non avere idee chiarissime riguardo agli obiettivi. In Finance invece questa fascia d’anzianità vive il periodo più felice, grosso modo sotto tutti i punti di vista.”


A fronte di questi risultati, il CEO Andrea Jovis decise, anziché procedere a una pesante ristrutturazione con dei tagli di posti di lavoro, di avviare nel 2010 un programma di rinforzo delle competenze dei tre manager.

In particolare, un programma di personal training per la d.ssa Rossi (Sales), che imparò a portare all’attenzione della Direzione Generale soluzioni fondate su un più rigoroso processo di Problem Solving e Decision Making; il personal training dell’Ing. Esposito (Produzione), invece, lo portò a prendere coscienza dei propri limiti ed a delegare totalmente, di conseguenza, la gestione del personale ai tre capi reparto, che vennero adeguatamente formati in tal senso; infine il dr. Marelli (Finance) seguì un percorso di coaching diverso, che lo aiutò a vincere la propria resistenza a delegare, cosicché poté limitarsi al controllo e alla supervisione, per dedicare maggiori energie a seguire i suoi collaboratori.

Il 2010 fu un anno difficile, anche per l’aggravarsi della crisi, ma il dr. Jovis riuscì a farvi fronte affiancando personalmente i tre manager, ognuno dei quali stava imparando un nuovo modo di agire. Le vendite rimasero sostanzialmente sul livello del 2009, e la perdita si ridusse da 75000 euro a 12500, grazie a una politica commerciale più accorta ma più vicina alle esigenze dei clienti e ad un più efficace sistema di controllo della produzione – due provvedimenti che si rivelarono benéfici, anche se ancora non del tutto applicati per le resistenze dei venditori da un lato e della Produzione dall’altro.

I risultati del piano di potenziamento delle competenze dei manager iniziarono però a manifestarsi nel 2011.
Alla fine dell’anno, le vendite erano aumentate del 3% rispetto al 2010 (+ 2% rispetto al budget), il che in un mercato in contrazione significava sottrarre quote di mercato alla concorrenza.
Ma soprattutto, l’azienda tornò in utile (49000 euro, + 23% rispetto al budget).

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(1) entro la fine di gennaio presenteremo per esteso la metodologia LeaN