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venerdì 28 settembre 2012

I sei principi del metodo TiPERSEI - a

PERCHE' SI CHIAMA "TIPERSEI"


Abbiamo scelto di chiamare il nostro metodo "TiPERSEI", perché, oltre a rivolgersi di norma a gruppi di sei persone,  sono sei i principi (o strumenti, "Tools") che lo identificano. A partire dal prossimo post li analizzeremo uno ad uno.

Ad un primo sguardo generale, possiamo però già descriverli come segue.

T1: "Identificazione dei traguardi" - Oltre agli obettivi di massima ed ai valori di fondo del percorso di sviluppo/formazione, chiediamo al cliente di descriverci le situazioni concrete in cui si aspetta dei miglioramenti e, in esse, di concordare con noi i comportamenti-bersaglio che ci si deve aspettare di osservare durante il progredire del percorso stesso.

T2: "Troppi? No, grazie!" - TiPERSEI è un percorso di sviluppo/formazione a tecnica mista: accanto alle modalità più avanzate di formazione maieutica, esso fa largo impiego delle tecniche di coaching di gruppo. Ciò implica che ogni gruppo sia formato da non più di sei persone, e che ogni riunione di TiPERSEI si concentri su non più di due-tre comportamenti-bersaglio.

T3 - Tre ore/tre settimane - I persorsi TiPERSEI si articolano su sequenze di più riunioni brevi (tipicamente di tre ore, quattro al massimo), intervallate da periodi di due - tre settimane di lavoro normale.

T4 - Tutorship - Tra una riunione e l'altra, il coach si trasforma in tutor, per monitorare i progressi di ciascuno, raccoglierne le esperienze, stimolare l'applicazione dei comportamenti-bersaglio che si stanno apprendendo.

T5 - Traduzione personale - In ogni riunione, il tempo dedicato alla didattica classica non eccede mai il 33%. Nel tempo restante, oltre a esercitazioni, filmati, role playing, si stimolano i componenti del gruppo ad immaginare il proprio modo personale per l'utilizzo immediato dei principi appresi  - cioè dei comportamenti-bersaglio stessi.

T6 - Trasformazione in esperienza - Tra una riunione e l'altra, ciascuno proverà ad applicare quanto condiviso. Fatalmente, in una fase di apprendimento, non tutti i tentativi saranno coronati da successo: nella riunione successiva, ogni membro del gruppo di lavoro potrà descrivere le proprie vittorie e difficoltà, trasformando in esperienze, con l'aiuto del coach, persino gli episodi di inefficacia.

Vuoi conoscerci meglio?  Visita il nostro sito: www.vinciconsulenza.it


martedì 25 settembre 2012

ANNUNCIO


Vuoi conoscere meglio il nostro metodo? Vai al nostro sito: http://www.vinciconsulenza.it/ 


SIAMO ALLA RICERCA DI COACH
BILINGUI (ITA/INGL) 
NELLA ZONA DI MILANO

Finora, quando un cliente ci chiedeva se facessimo coaching o formazione in inglese, rispondevamo sempre di no (intendiamoci, l'inglese lo sappiamo, ma una cosa è saper sostenere una conversazione, scrivere un articolo e pronunciare un discorso a una cena ufficiale, e un'altra è saper cogliere certe sfumature che solo un madrelingua, o un interprete, è in grado di percepire al volo).

Ma di recente questa richiesta si è fatta sempre meno rara. E non vogliamo scontentare i clienti.

Quindi abbiamo bisogno di impostare collaborazioni professionali con qualcuno che davvero possa supportare la nostra clientela sotto questo aspetto, qualcuno che:

  • sia pure di madre lingua italiana, padroneggi l'inglese a livello da interprete, oppure
  • sia di madre lingua inglese, ma padroneggi l'italiano a un buon livello, e che
  • sia coach diplomato, 
  • preferibilmente con certificazione ICF, e infine
  • che abiti a una ragionevole distanza da Milano.

Ci aspettiamo che questa/e persona/e, oltre ad apprendere i nostri metodi (la formazione è gratuita e terminerà con la certificazione TiPERSEI), voglia dedicarsi anche a promuovere i nostri servizi, sia pure non come attività principale.
Si tenga presente che serve la Partita IVA.

Chi, tra coloro che posseggono questi requisiti, fosse interessato, può scriverci a

vincisel@tiscali.it

martedì 18 settembre 2012

Pillole di coaching di gruppo - 6



EMOZIONARE IL GRUPPO: DAL 

PROBLEMA AL SOGNO

Aiutare il gruppo ad uscire dalle secche del contingente.
 Il gruppo dei coachee al bivio tra la negatività del reale e la 
necessità d'immaginare un futuro migliore.

Con questo post prosegue la rubrica "pillole di coaching di gruppo" - tecniche utili per trainer e coach. 
Tutti i contributi sono originali, e tratti dal "Manuale pratico di coaching di gruppo"  che si può acquistare su "www.ilmiolibro.it", oppure ordinare presso una qualsiasi libreria Feltrinelli.

Vuoi conoscerci meglio? Vai al nostro sito: http://www.vinciconsulenza.it/ 

Come s’è detto nel precedente post, una fase in cui il gruppo descrive la situazione al negativo è inevitabile, e occorre lasciare che si sfoghi. Ma bisogna ricondurlo con comprensione e fermezza ad andare oltre, a definire la soluzione, più che il problema. Queste due facce del problem setting, una al negativo e una al positivo, sono quelle che nel gergo del coaching umanistico vengono chiamate rispettivamente “funzione Alfa” e “funzione Omega”. Vediamole separatamente.

La funzione Alfa.
L’individuazione di un obiettivo parte quasi sempre dalla constatazione che qualcosa non va. Dimagrire, smettere di fumare, diminuire l’assenteismo sono tutti obiettivi che partono dal presupposto che la situazione attuale è, in qualche modo, insoddisfacente.
Infatti l’enunciato degli obiettivi sarà del tipo: perdere dieci chili, non fumare più, far calare il conflitto interno, o il turnover del personale. Concetti che, così come sono espressi, eliminano un disagio. Lo dicono le parole chiave: “perdere” (dieci chili), “non” (fumare), “veder calare” (il conflitto, l’assenteismo o il turnover).

Esse non descrivono un futuro migliore, ma un futuro “meno peggio”, che non scalda il cuore, che non dà gioia, ma solo sollievo.
Per quanto augurabili, non fanno sognare. Per questo tante diete vengono abbandonate, tanti ricominciano a fumare, in tante aziende si  seguita a litigare, e così via.
La funzione Alfa è quindi la descrizione degli obiettivi sotto forma di contrapposizione a un problema esistente. Una descrizione al negativo.

La funzione Omega.
La funzione Omega va oltre: concorre spesso a spiegare perché la situazione attuale è poco soddisfacente, ma non si ferma a questo. Siccome ogni insoddisfazione è tale per confronto tra la realtà presente e un ideale desiderato o desiderabile,  la funzione Omega si concentra proprio su questo: sull’ideale, sui desideri.
La cosa sorprendente è che le persone, concentrate come sono sui loro problemi, hanno smarrito, molto spesso, i loro desideri.

In un certo senso si può dire che la funzione Omega dà voce al sogno.  Così il dimagrire si trasforma nell’essere più agili e seducenti, nell’indossare il costume da bagno con fierezza; il non fumare diventa respirare a pieni polmoni, potersi dedicare di nuovo alle passeggiate in alta montagna, immaginare un’esistenza più sana e longeva. Smettere di litigare torna ad essere complicità, vicinanza,collaborazione. Veder calare il conflitto si tramuta in un clima disteso, collaborativo, partecipe, magari entusiasta.

La funzione Omega però, per non rimanere una semplice petizione di principio, necessita di essere dettagliata.  Il cervello ha bisogno, per trasformare un pensiero “freddo” in emozioni, di immagini, di suoni, di sensazioni. Ecco allora il coach che chiede di immaginarsi snelli e scattanti: com’è il costume da bagno? Dove sei? Chi ti può vedere? Perché ti senti fiera di indossare quel bikini? C’è il sole? Fa caldo? Chiudi gli occhi e senti il sole sulla pelle. Siediti e “senti” la snellezza dei tuoi fianchi, del ventre.

Hai i polmoni liberi, prova a inspirare: cosa senti? Sei in montagna, ascolta l’aria fresca penetrare nei bronchi fino in fondo. Sei su un ripido sentiero, senti il respiro profondo e regolare, silenzioso. Alla fine sei stanco, ma di una stanchezza “sana”: descrivi le sensazioni che ti dà.

Entri la mattina in ufficio, e senti che il clima è disteso. Come vedi i collaboratori? E i tuoi colleghi? E i tuoi superiori? Cosa dicono? Come si comportano? Sorridono tra di loro? Scherzano? Qualcuno viene a salutarti? Descrivi il loro atteggiamento nel parlare di questioni di lavoro. Prosegui nella descrizione della giornata.

Come dicevamo, il coach non può pretendere che il gruppo, da subito, si metta a galoppare sui sentieri del sogno. Per questo è inevitabile che si passi attraverso una fase in cui emerge la sola funzione Alfa. In sé, nulla di male, anzi: consente al gruppo di sbollire, e al coach di dimostrare nei fatti che non è lì per giudicare bensì per dare empatia. Permette di conoscere il problema con gli occhi del gruppo. E sono tutti elementi preziosi.

E’ però solo attraverso la funzione Omega che si raccolgono gli elementi indispensabili per la precisazione degli obiettivi: quindi è alla funzione omega che il coach deve tendere.
Dopo aver lasciato “sfogare” il gruppo sulla funzione Alfa, magari prendendo appunti alla lavagna, il coach farà una pausa e dirà qualcosa come: “Ok, adesso sogniamo”, e darà le istruzioni al gruppo per l’accesso alla funzione Omega.
In sintesi, dovrà dire:
a) “Questa che mi avete descritto è la realtà attuale. Proponete di superare un problema attuale. Ma rimuovere un ostacolo non è l’obiettivo: è ciò che consente di raggiungerlo. L’obiettivo in sé è un altro.  Cerchiamo di descrivere la situazione così come vorremmo che fosse a livello ideale…”
b) “Non preoccupiamoci per ora del fatto che certi desideri ci possono sembrare irrealistici. Può essere, ma un giudizio lo daremo poi, Ora elenchiamoli così come ci vengono. Descrivete la situazione ideale come vorreste che fosse. Sognate pure.”
La descrizione puntuale della funzione Omega può essere fatta in modi diversi: con un giro di tavolo in cui ognuno esplicita i suoi sogni, con un brainstorming, o facendo lavorare il gruppo in piccole commissioni di due o tre persone.  Ciò che conta è che alla fine la descrizione sia condivisa da tutti, e messa nero su bianco (ad esempio alla lavagna).
Ottenuta una descrizione dettagliata della situazione ideale (funzione Omega), dovremo trasformarla in obiettivi. Va considerato che il gruppo, per mantenere elevata la propria motivazione – il coaching proseguirà, sessione dopo sessione, per alcuni mesi – deve poter toccare con mano qualche beneficio da subito, senza dover attendere il raggiungimento dell’obiettivo finale. E deve trattarsi di un beneficio che derivi direttamente dal lavoro del gruppo.
Dobbiamo quindi distinguere gli obiettivi di breve periodo dall’obiettivo finale, rispetto al quale però, devono essere funzionali. Conviene quindi considerare le categorie degli obiettivi di performance e degli obiettivi di risultato.
Spesso in azienda essi sono usati come sinonimi, ma non è così: il risultato dipende dalle performance, ma non vale l’inverso. Per comprendere meglio il concetto, si consideri un atleta (poniamo, un saltatore in alto), e un musicista (per esempio un violinista).
L’atleta potrebbe avere come obiettivo di risultato, quello di piazzarsi nella prossima gara, arrivando almeno terzo in classifica. Con l’allenatore, studiando i risultati recenti degli altri concorrenti, è giunto alla conclusione che ci sono ottime probabilità di piazzamento saltando almeno due metri e trenta. Il record personale del nostro atleta, attualmente, è di due metri e ventotto.  L’obiettivo di performance sarà di riuscire a saltare due metri e trentuno entro la gara.  L’obiettivo di performance, in questo caso, rende possibile il raggiungimento dell’obiettivo di risultato (piazzarsi sul podio), ma non lo può garantire: ci sono variabili non dipendenti dal comportamento dell’atleta, come – banalmente – le performance degli altri concorrenti. Ciò non rende meno necessario il miglioramento di performance del nostro atleta.
Vediamo ora il violinista: un promettente giovanotto, che al prossimo saggio del conservatorio vuole cimentarsi in una esecuzione impegnativa, per ottenere una buona valutazione da parte della commissione esaminatrice (obiettivo di risultato). Per riuscirci, dovrà imparare a memoria il pezzo, e provarlo e riprovarlo sino a che l’esecuzione non sarà perfetta dal punto di vista tecnico. Qui siamo davanti a svariati obiettivi di performance.  Anche in questo caso, il raggiungimento degli obiettivi di performance non dà la garanzia assoluta del risultato (la valutazione), ma  costituisce l’unica strada perché il giovane violinista possa sperare di ottenerlo.
Torniamo ora al nostro coaching. Senza perdere di vista il risultato finale, occorrerà concordare gli obiettivi di performance, non solo per una ovvie ragioni pratiche (nessun risultato è possibile senza performance), ma soprattutto per un motivo psicologico: finché i coachee non ammetteranno che tutto ciò che possono fare per cambiare la situazione è modificare i propri comportamenti, rimarranno agganciati alla funzione Alfa, seguitando ad elencare una serie di cause del problema che non dipendono da loro (il mercato, la politica aziendale, le risorse a disposizione, i concorrenti, la congiuntura economica, e così via). 

Pillole di coaching di gruppo - 5



L'ESORDIO

LA PRIMA RIUNIONE DI UN GRUPPO DI COACHING

Dagli obiettivi dell'azienda a quelli dei coachee: alcune riflessioni e tecniche per il coach
nelle prime fasi del coaching di gruppo.

Con questo post prosegue la rubrica "pillole di coaching di gruppo" - tecniche utili per trainer e coach. 
Tutti i contributi sono originali, e tratti dal "Manuale pratico di coaching di gruppo"  che si può acquistare su "www.ilmiolibro.it", oppure ordinare presso una qualsiasi libreria Feltrinelli.

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Dopo la fase di ambientamento, della quale abbiamo già detto, viene il momento in cui il gruppo inizia a sviluppare un’identità collettiva. Ora, se il coach ha ben lavorato, si comincia ad osservare un progressivo affermarsi della identità gruppale. La formazione del gruppo psicologico, lo abbiamo già visto, nasce dalla condivisione di un obiettivo.
Ci sono molti modi per far condividere un obiettivo, ma in linea di massima si possono raggruppare in due categorie.
- Enunciazione da parte del coach, che esplicita che il mandato dell’azienda consiste in un determinato lavoro da svolgere insieme per raggiungere un obiettivo preciso e predeterminato. L’obiettivo è quindi etero-statuito, ed il gruppo quindi  lavorerà obbedendo ad un ordine esterno.
- Definizione da parte del gruppo: qui il coach focalizza una situazione ben nota a tutti, registra i motivi di insoddisfazione del gruppo nella situazione attuale, e chiede a tutti di lavorare per definire un obiettivo comune che sia ambizioso (i.e. per migliorare la condizione professionale del gruppo sotto qualche punto di vista, come ad esempio lavorare con più armonia o minor  fatica) ma accettabile da parte dell’azienda.  In questo caso l’obiettivo è, nei limiti tracciati dall’azienda, auto-statuito, e il gruppo lavorerà seguendo una esigenza da tutti sentita come propria.
Ovviamente la prima soluzione è più semplice, ma non è affatto la più efficace. Poniamo, ad esempio, che un Direttore Commerciale debba far condividere ai suoi Capi Area che l’anno prossimo occorrerà incrementare le vendite del prodotto “X” del 7,5%, acquisendo nuova clientela tra i dettaglianti. E supponiamo che il lavoro del gruppo serva ad elaborare tattiche per il raggiungimento di tale obiettivo.
Se il Direttore Commerciale vorrà regolarsi nel modo tradizionale, si limiterà ad enunciare l’obiettivo (“Dobbiamo aumentare del 7,5% le vendite del prodotto X acquisendo nuovi clienti al dettaglio”), per poi coinvolgere le persone nel lavoro di gruppo (“l’azienda ci ha chiesto di elaborare una serie di tattiche che ci sembrano utili, ferma restando la politica di marketing, per raggiungere questo risultato”).
Se invece vorrà far definire al gruppo stesso tale obiettivo, potrà chiedere al gruppo di stimare di quanto il risultato finale potrebbe essere superiore al sette per cento, oppure chiedere subito al gruppo di elaborare argomentari di vendita che si possano considerare validi per incrementare le vendite del sette per cento, utilizzando poi la maieutica nella seconda parte della riunione – nello stesso modo che abbiamo appena visto - per far condividere l’obiettivo economico del 7,5%.
Nel caso di interventi più complessi, di vero e proprio coaching di gruppo a tutto titolo, facciamo un altro esempio: un gruppo di manager (direttore commerciale, amministrativo, del personale, di produzione, ITC, logistica) viene riunito affrontare il fatto che da sempre ciascuno lavora da solo, pensando agli interessi del proprio settore, e che si deve invece elaborare un piano per passare a una prassi di squadra. In questo caso, l’input dell’azienda è chiaro ma assai generico, e lascia al gruppo un ampio margine discrezionale.
In un caso come questo, l’approccio migliore consisterà nel dedicare la prima riunione ad analizzare insieme la situazione attuale, facendo emergere dal gruppo stesso che il problema è rappresentato da una sua insufficiente coesione. Ciò potrà esser fatto con delle esercitazioni mirate, e al termine di questa sensibilizzazione il gruppo dovrà collettivamente identificare gli obiettivi finali (Che tipo di gruppo vogliamo?), ma anche come raggiungerli, cioè le modalità operative concrete.
Chiunque abbia esperienza di formazione o coaching sa bene che non è possibile insegnare nulla a nessuno, e nemmeno allenarne le abilità, se costui non si impegna.
Non è questa la sede per una trattazione esaustiva sul fenomeno della motivazione, ma ai nostri fini basta ricorrere alla distinzione classica tra motivazione estrinseca ed intrinseca.

La motivazione estrinseca è slegata dal compito in sé, e dipende da fattori esterni (premi e punizioni). Sul lavoro, una tipica motivazione estrinseca è la retribuzione, o il timore di sanzioni disciplinari. Nel caso della formazione o del coaching, la motivazione estrinseca più comune è data dal fatto che “l’azienda vuole così”, e si presume che convenga più adeguarsi – o fingere una certa adesione intellettuale –che porre in essere comportamenti di aperta resistenza.

La motivazione intrinseca è invece strettamente legata al compito e ai suoi obiettivi specifici, e genera un grado di coinvolgimento assai più profondo, e con effetti più duraturi. Essa nasce dalla gratificazione che si riceve dal semplice svolgere quel compito: perché è gradevole, o perché vi si trova una corrispondenza particolare con i propri talenti, o ancora perché quell’attività ha per l’individuo un senso profondo in termini di valore (ideale, esistenziale, professionale, eccetera).

Inutile dire che la motivazione che il coach deve sforzarsi di ottenere dal gruppo è intrinseca. E’ meglio che il lavoro del gruppo sia gradevole per i coachee, ma certo sarà faticoso e in certe situazioni anche difficile.  Non è scontato che il coaching di gruppo, come metodo di lavoro, possa contare su particolari attitudini di tutti i coachee.  Ciò che invece bisogna cercare di ottenere è che il lavoro abbia, agli occhi del gruppo, un senso. Un senso nobile, per un futuro migliore.

Su questo occorre essere molto netti: se il gruppo non si emoziona per un traguardo abbastanza ambizioso, che segni una svolta nella vita professionale di ciascuno in seno a quell’azienda; se non riconosce un valore particolare in termini ideali o professionali a ciò che ci si sta accingendo a fare insieme, il coaching ha poche possibilità di successo.  Se ciò non avviene, il gruppo potrà magari trovare gradevole stare insieme a “giocare” in compagnia di un coach, ma non troverà dentro di sé le energie più autentiche per mettersi davvero in discussione, per innescare un reale cambiamento.

Trovare un obiettivo, in sé, non è difficile, né lo è, di norma, farlo condividere: come minimo, esso coinciderà con il mandato che l’azienda ha conferito al coach. Non fosse che per amor di quieto vivere, le persone di solito lo accettano. Tuttavia, come si è detto, si tratta di un obiettivo generatosi al di fuori del gruppo, e quindi le persone difficilmente lo sentiranno davvero come proprio.

Occorre quindi che, nell’ambito delimitato dagli obiettivi dell’azienda, il gruppo trovi, immagini, sviluppi un obiettivo che sia davvero suo.
A questo proposito, il coach non deve mai dimenticare che l’obiettivo dell’azienda descrive il punto di vista aziendale su una problematica che – con ogni probabilità – è sentita da tutti.

Per esempio, si supponga che la direzione aziendale abbia dato come mandato al coach di condurre il gruppo a una maggior sensibilità nel motivare il personale. Ci si può scommettere: la motivazione dei loro collaboratori sarà percepita da molti di loro come un problema, e non chiederanno di meglio che individuare insieme dei comportamenti che potranno aiutarli a ottenere un clima migliore, un impegno più intenso, una partecipazione più attiva. Non c’è però da dubitare che inizialmente essi individueranno fuori da sé le cause del problema: è umano. Ciò non toglie che la soluzione del problema sarà un obiettivo agognato da tutti.

Come si vede, però, concentrarsi sugli aspetti negativi della questione – quale essa sia – non porta da nessuna parte. Si rischia di avviarsi attorno a interminabili discussioni sul perché i manager non propongano soluzioni, o perché il personale non è motivato come si vorrebbe. Si corre il pericolo di veder contrapposta la visione aziendale, per la quale probabilmente i manager sono stati sino ad ora parte del problema, a quella dei manager stessi, secondo i quali – è quasi certo – la causa sarà da individuare ovunque, ma non nei loro comportamenti.

Questa fase di descrizione del problema al negativo è inevitabile, e occorre lasciare che il gruppo si sfoghi. Ma bisogna ricondurlo con comprensione, ma con fermezza, ad andare oltre, a definire la soluzione, più che a descrivere il problema. Queste due facce del problem setting, una al negativo e una al positivo, sono quelle che nel gergo del coaching umanistico vengono chiamate rispettivamente “funzione Alfa” e “funzione Omega”, e le affronteremo nel prossimo post.

venerdì 14 settembre 2012

Pillole di coaching di gruppo - 4


AIUTARE IL GRUPPO A FOCALIZZARE
GLI OBIETTIVI

Con questo post proseguiamo la rubrica "pillole di coaching di gruppo" - tecniche utili per trainer e coach. Tutti i contributi sono originali, e tratti dal "Manuale di coaching di gruppo" che pubblicheremo a breve. 

Vuoi conoscerci meglio? Vai al nostro sito: http://www.vinciconsulenza.it/


Nel coaching di gruppo occorre che, nell’ambito delimitato dagli obiettivi dell’azienda, il gruppo trovi, immagini, sviluppi un obiettivo che sia davvero suo.
A questo proposito, il coach non deve mai dimenticare che l’obiettivo dell’azienda descrive il punto di vista aziendale su una problematica che – con ogni probabilità – è sentita da tutti.

Per esempio, se l’azienda vuole che i suoi manager divengano più attivi nell’immaginare e proporre soluzioni, probabilmente loro – i manager – vorrebbero esattamente la stessa cosa, solo che lo diranno in un modo diverso. Nella loro percezione esisteranno degli ostacoli alla loro proattività, ostacoli che sino ad ora hanno percepito come esterni alla loro area di controllo. Nondimeno, la pro attività sarà già da loro percepita come una possibile area di miglioramento.

Tuttavia il concentrarsi sui soli aspetti negativi della questione – quale essa sia – non porta da nessuna parte.. Si corre il pericolo di veder contrapposta la visione aziendale, per la quale probabilmente i manager sono stati sino ad ora parte del problema, a quella dei manager stessi, secondo i quali – è quasi certo – la causa sarà da individuare ovunque, ma non nei loro comportamenti.

Questa fase di descrizione del problema al negativo è inevitabile, e occorre lasciare che il gruppo si sfoghi. Ma bisogna ricondurlo con comprensione, ma con fermezza, ad andare oltre, a definire la soluzione, più che a descrivere il problema. Queste due facce del problem setting, una al negativo e una al positivo, sono quelle che nel nostro gergo sono chiamate “funzione Alfa” e “funzione Omega”.

La funzione Alfa.
L’individuazione di ogni obiettivo parte quasi sempre dalla constatazione che qualcosa non va per il verso giusto. Dimagrire, smettere di fumare, avere collaboratori più motivati: sono tutti obiettivi che partono dal presupposto che la situazione attuale è, in qualche modo, insoddisfacente.
Infatti l’enunciato degli obiettivi sarà del tipo: perdere dieci chili, non fumare più, smettere di litigare, veder calare il conflitto interno, l’assenteismo o il turnover del personale. Tutti obiettivi che, così come sono espressi, eliminano un disagio. Lo dicono le parole chiave: “perdere” (dieci chili), “non” (fumare), “smettere” (di litigare), “veder calare” (il conflitto, l’assenteismo o il turnover).

Sono espressioni che non descrivono un futuro migliore, bensì un futuro “meno peggio”, più sopportabile; un futuro che non scalda il cuore, che non dà gioia, ma soltanto sollievo, al massimo.
E’ il motivo per il quale tante diete vengono abbandonate, tanti ricominciano a fumare, e così via.
La funzione Alfa è quindi la descrizione degli obiettivi sotto forma di contrapposizione a un problema esistente. Una descrizione al negativo.

La funzione Omega.
La funzione Omega va oltre: può spiegare perché la situazione attuale è poco soddisfacente, ma non si ferma a questo. Siccome ogni insoddisfazione è tale per confronto tra la realtà e un ideale desiderato o desiderabile,  la funzione Omega si concentra proprio su questo: sull’ideale, sui desideri.

Si può dire che la funzione Omega dà voce al sogno.  Così il dimagrire si trasforma nell’essere più agili e seducenti, nell’indossare il costume da bagno con fierezza; il non fumare diventa respirare a pieni polmoni, potersi dedicare di nuovo alle passeggiate in alta montagna, immaginare un’esistenza più sana e longeva. Veder calare il conflitto si tramuta in un clima disteso, collaborativo, partecipe, magari entusiasta.

La funzione Omega però, per non rimanere una semplice petizione di principio, necessita di essere precisata nei dettagli.  Il cervello ha bisogno, per trasformare un pensiero “freddo” in emozioni, di immagini, di suoni, di sensazioni. Ecco allora il coach che chiede ai coachee di immaginarsi snelli e scattanti: com’è il costume da bagno? Dove sei? Chi ti può vedere? Perché ti senti fiera di indossare quel bikini? C’è il sole? Fa caldo? Chiudi gli occhi e senti il sole sulla pelle. Siediti e “senti” la snellezza dei tuoi fianchi, del ventre.

Hai i polmoni liberi, prova con l’immaginazione a inspirare: cosa senti? Sei in montagna, ascolta l’aria fresca penetrare nei bronchi fino in fondo. Stai inerpicandoti per un ripido sentiero di montagna, senti il respiro profondo e regolare, silenzioso. Alla fine della salita sei stanco, ma di una stanchezza “sana”: descrivi le sensazioni che ti dà.

Entrate la mattina in ufficio, e sentite subito che il clima è disteso. Perché? Come vedete i collaboratori? Cosa dicono? Come si comportano? Vengono  a salutarvi? Sorridono tra di loro? Proseguite nella descrizione della giornata.

Ora, il coach non può pretendere che il gruppo, da subito, si metta a galoppare sui sentieri del sogno. E’ quindi inevitabile che, di fronte alla richiesta del coach di descrivere gli obiettivi, si passi attraverso una fase in cui emerge la funzione Alfa. In sé, nulla di male, anzi: consente al gruppo di sbollire, e al coach di dimostrare nei fatti che non è lì per giudicare bensì per dare empatia. Permette di conoscere il problema con gli occhi del gruppo. E sono tutti elementi preziosi.

Tuttavia è solo attraverso la funzione Omega, che si raccolgono gli elementi indispensabili per la precisazione degli obiettivi: quindi è alla funzione omega che il coach deve tendere.
Dopo aver lasciato “sfogare” il gruppo sulla funzione Alfa, magari prendendo appunti alla lavagna, il coach farà una pausa e dirà qualcosa come: “Ok, adesso sogniamo”, e darà le istruzioni al gruppo per l’accesso alla funzione Omega.
In sintesi, dovrà dire:
a) “Questa che mi avete descritto è la realtà attuale. Proponete di superare un problema attuale. Ma rimuovere un ostacolo non è l’obiettivo: è ciò che consente di raggiungerlo. Ma l’obiettivo in sé è un altro.  Cerchiamo di descrivere la situazione così come vorremmo che fosse a livello ideale…”
b) “Non preoccupiamoci per ora del fatto che certi desideri ci possono sembrare irrealistici. Può essere, ma un giudizio lo daremo poi, Ora elenchiamoli così come ci vengono. Descrivete la situazione ideale come vorreste che fosse. Sognate pure.”
La descrizione puntuale dei dettagli della funzione Omega può essere fatta in modi diversi: con un giro di tavolo in cui ognuno esplicita i suoi sogni; con un libero brainstorming; oppure facendo lavorare il gruppo in piccole commissioni di due o tre persone.  Quello che conta è  che alla fine la descrizione sia condivisa da tutti, e che sia messa nero su bianco (ad esempio alla lavagna).
Ottenuta una descrizione dettagliata della situazione ideale (funzione Omega), dovremo trasformarla in obiettivi. A questo riguardo, va considerato che il gruppo, per mantenere elevata la propria motivazione nel tempo – non si dimentichi che il coaching proseguirà, sessione dopo sessione, per alcuni mesi – deve poter toccare con mano qualche beneficio da subito, senza dover attendere il raggiungimento dell’obiettivo finale. E deve trattarsi di un beneficio che derivi direttamente dal lavoro del gruppo.
Dobbiamo quindi distinguere gli obiettivi di breve periodo dall’obiettivo finale, rispetto al quale però, devono essere chiaramente funzionali. Conviene quindi considerare le categorie degli obiettivi di performance e degli obiettivi di risultato.
Spesso in azienda essi sono usati come sinonimi, ma non è così: il risultato dipende dalle performance, ma non vale l’inverso. Per comprendere meglio il concetto, si consideri un atleta (poniamo, un saltatore in alto), e un musicista (per esempio un violinista).
L’atleta potrebbe avere come obiettivo di risultato, quello di piazzarsi sul podio della prossima gara, fra tre mesi, arrivando almeno terzo in classifica. Con l’allenatore, studiando i risultati recenti degli altri concorrenti, sono arrivato alla conclusione che ci sono ottime probabilità di piazzamento saltando almeno due metri e trenta. Il record personale del nostro atleta, attualmente, è di due metri e ventotto.  L’obiettivo di performance sarà di riuscire a saltare due metri e trentuno entro tre mesi.  Si noti che l’obiettivo di performance, in questo caso, rende possibile il raggiungimento dell’obiettivo di risultato (piazzarsi sul podio), ma non lo può garantire, perché vi sono variabili non dipendenti dal comportamento dell’atleta, come – banalmente – le performance degli altri concorrenti. Ciò però non toglie che il miglioramento di performance del nostro atleta  rimane necessario.
Vediamo ora il violinista. Supponiamo che si tratti di un promettente giovanotto, che al prossimo saggio del conservatorio vuole cimentarsi in una esecuzione impegnativa, al fine di ottenere una buona valutazione da parte della commissione esaminatrice (obiettivo di risultato). Per riuscirci, dovrà imparare a memoria il pezzo, e provarlo e riprovarlo sino a che l’esecuzione non sarà perfetta dal punto di vista tecnico. Ma potrebbe ancora non bastargli, e dopo aver imparato a eseguire il pezzo in maniera ineccepibile, potrebbe volergli conferire una interpretazione personale (prolungando molto la nota finale, giocando sul volume acustico degli accordi, eccetera). Qui siamo davanti a svariati obiettivi di performance: imparare a memoria il pezzo, saperlo eseguire correttamente, interpretarlo in maniera personale.  Anche in questo caso, il raggiungimento degli obiettivi di performance non dà la garanzia assoluta del risultato (la valutazione), ma  costituisce l’unica strada perché il giovane violinista possa sperare di ottenerlo.
Torniamo ora al nostro gruppo di coaching. Senza mai perdere di vista il risultato finale, occorrerà concordare insieme un certo numero di obiettivi di performance. Questo non soltanto per una evidente ragione di ordine pratico (nessun risultato è possibile senza performance), ma soprattutto per un motivo psicologico: fino a che i membri del gruppo non ammetteranno che tutto ciò che possono fare per cambiare la situazione è di modificare i propri comportamenti, rimarranno agganciati alla funzione Alfa, seguitando ad elencare una serie di cause del problema che non dipendono da loro (il mercato, la politica aziendale, le risorse a disposizione, i concorrenti, la congiuntura economica, e così via).
E’ quindi precisando gli obiettivi di performance, che il gruppo acquisisce la piena maturità e la vera motivazione. Per aiutare il gruppo ad andare oltre la descrizione del problema, una tecnica che abbiamo sperimentato con successo è quella che abbiamo chiamato “del fattore K” e che già abbiamo visto nella “Pillola di coaching di gruppo” numero 1.

venerdì 7 settembre 2012

ECCO LE PROVE



Dal nostro sito

LA MOTIVAZIONE DEL PERSONALE
SI RIVERBERA SUGLI UTILI
IN MISURA RILEVANTE E A COSTI INFERIORI

REPORT
su un’indagine
GALLUP
(USA, 1998)

Quando lessi, alcuni anni fa, per la prima volta questo testo, letteralmente sobbalzai sulla poltrona.
Non che dicesse cose sorprendenti, in sé e per sé.

Credevo da sempre, come ancor oggi, che una gestione, diciamo così, illuminata del personale sia un buon affare per qualsiasi azienda, e non c’è bisogno che sia anche costosa.

Ciò che di rivoluzionario contiene questo studio è che per la prima volta nella storia del Management esso dimostra in maniera inoppugnabile, e statisticamente rilevante, questa verità intuitiva.
Ma nemmeno io osavo immaginare che l’impatto diretto sugli utili potesse essere così grande.

Abbiamo testualmente riportato l’esperienza e lo studio effettuato da GALLUP, così come descritto nel libro che abbiamo citato come fonte all’inizio di questo documento.
Ad una prima analisi, saltano agli occhi alcune conclusioni, che già gli Autori stessi pongono in evidenza. Segnatamente:

a) Esiste, ed è oramai quindi dimostrata al di là di ogni dubbio, una relazione diretta tra la gestione della motivazione intrinseca – non stiamo parlando quindi di stipendi e di incentivi - e le prestazioni.

b) Tale legame è così stretto e diretto da riverberarsi in maniera eclatante – e relativamente facile da misurare – sul fatturato, i costi del personale, ma soprattutto (udite, udite), sugli utili.

c) E’ oramai fuori discussione, visti anche i dati della GALLUP, che la qualità del clima, e quindi delle prestazioni, non è dato tanto dalle politiche aziendali decise a livello centrale, quanto dal comportamento quotidiano dei manager con i propri collaboratori. In una parola sola, dalle loro capacità nel people management.

Considero importante che questo studio, sia pure risalente al 1998, venga reso noto al maggior numero possibile di aziende, in un momento storico in cui, data la crisi, si rischia di veder limitata la propria prospettiva al solo contenimento dei costi.

Dalla prospettiva di un consulente che, come me, si occupa da venticinque anni di sviluppo manageriale, colpisce molto come l’agire in profondità sulle abilità dei manager in termini di gestione dei collaboratori possa fare una così grande differenza tra il successo ed il regresso.

In effetti, quando scoprii questo studio presi la decisione di concentrare i nostri sforzi, come Studio Vinci, nell’aiutare le imprese a far crescere i loro manager intermedi. Una scelta di cui, a distanza di anni, sono sempre più convinto.

Puoi richiedere il report completo in PDF scrivendo a vincisas@libero.it

lunedì 3 settembre 2012

E' uscito il manuale!


ECCO IL MANUALE



100 pagine - 12 Euro

Lo potete ordinare alle librerie Feltrinelli, oppure acquistare comodamente su "ilmiolibro.it", a questo link:

http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=848980

Eccone uno stralcio del secondo capitolo:


"FASE DI AMBIENTAMENTO. I singoli partecipanti si sono appena accomodati al tavolo della riunione. In questo momento, più che a un gruppo, siamo davanti a un insieme di individui, ciascuno dei quali vive emozioni contrastanti: da un lato le proprie aspettative e speranze, dall’altro i propri timori. Prima che con le parole, è con i gesti e il setting della sala che si comincia a corroborare la speranza ed a neutralizzare i timori. E‘ sempre opportuno tenere presente che, fino a quando non si è riusciti a far scendere i timori sotto una certa soglia, essi compenseranno le attese positive, impedendo loro di liberare le energie positive del gruppo.
I timori che i singoli partecipanti hanno possono variare per tipo ed intensità, ma tipicamente sono di tre tipi: la paura di essere esposti al giudizio dei colleghi, dell’azienda o del coach, la paura di annoiarsi (o perdere tempo), e quella di trovarsi in una situazione scomoda o imbarazzante.
Va detto sin d’ora che una delle maggiori fonti di disturbo, a tale proposito, non di rado è originata dall’azienda stessa, che spesso convoca le riunioni in modo improprio. La casistica è vasta, ma si può riassumere che gli errori... "