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giovedì 15 novembre 2012
Trend formazione
FORMAZIONE, IN ITALIA
E' ANCORA AL PALO
Sul numero di Ottobre de “L’Impresa” c’è un interessante
articolo di Elio Borgonvi, che commenta i risultati dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio
Learning di ASFOR (Associazione Italiana per la Formazione manageriale). “Tutti
concordano nel dire che la formazione manageriale è un fattore chiave per
rilanciare il Paese, ma in realtà in azienda le decisioni strategiche non la
contemplano”, dice Borgonvi, citando i dati.
Un trend negativo
“ Delle 70 aziende di medie e grandi dimensioni, nazionali e
internazionali con sedi in Italia (…), ben i 34,8% evidenzia una riduzione del
budget destinato alla formazione. Segnale indubbiamente negativo rispetto al
17,7% dell’anno precedente anche se non drammatico, visto che solo il 12%
dichiara tagli superiori al 10%, che il 12,1% dichiara un aumento di spesa e il
40,9% una stabilità”.
Decisioni rimandate
“L’incertezza domina le previsioni per il prossimo anno, tenendo
conto (…) soprattutto del 43% che non risponde in quanto, presumibilmente, non
è in grado di dare indicazioni significative sulla base dell’andamento
aziendale nel primo quadrimestre 2012. (…) Peraltro alcuni segnali positivi
vengono dal 15% di rispondenti che prevedono un maggiore investimento in
formazione come leva per superare la difficile fase storica.”
La domanda di formazione
“Secondo i canoni del buon management, la risposta ai
vincoli della limitatezza di risorse viene data su due fronti. Da un lato, le
imprese hanno cercato recuperi di efficienza nella scelta di programmi e di
fornitori che garantivano un migliore rapporto qualità-costo, nella scelta di
metodologie più efficaci sul piano didattico (ad esempio distance learning o
uso di piattaforme per l’interazione tra i partecipanti dopo i corsi),
partnership con i principali fornitori finalizzati alla coprogettazione. (…)
I soggetti che esprimono la domanda esprimono una forte
esigenza riguardante la leadership (non solo per il top management, ma anche a
livelli intermedi), l’aggiornamento delle competenze professionali e
manageriali (legati soprattutto all’emergere di nuovi profili professionali e
di rafforzamento delle competenze soft per le posizioni manageriali).”
La funzione formazione è ancora troppo poco strategica
“Mentre la maggioranza dei soggetti (…) dichiara di avere un’unità
organizzativa specifica responsabile della formazione (67%) o una corporate università
(17%), la maggior parte conferma la tendenza manifestata negli ultimi anni,
secondo cui la formazione avviene al livello locale. Come negli anni precedenti
viene valutata molto elevata l’integrazione con i responsabili di business (7,8 in una scala da 1 a 10), mentre deve ritenersi
ancora inadeguato l’inserimento della formazione nelle generali politiche
aziendali poiché la frequenza di interazione con i capi azienda è a livello di
6,4 rispetto al massimo di 10, dato peraltro previsto in aumento per i prossimi
anni (da 6,4 a
7,6).”
lunedì 12 novembre 2012
Pillole di coaching di gruppo - 7
IDENTIFICARE I COMPORTAMENTI-
BERSAGLIO: UN ESEMPIO PRATICO
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Di norma, e giustamente, il
formatore che riceve un incarico da un’azienda s’accerta bene d’essere in
sintonia con essa anzitutto sugli obiettivi.
Ad esempio, se si parla di
formazione di manager, ci si accorderà sul fatto che andranno condotti a essere
più razionali nelle decisioni, più responsabili nell’accettare il rischio, o
più partecipativi nel gestire i collaboratori. Se si parla di personale
commerciale, si vorrà ottenere che ascolti il cliente, che sia maggiormente
aggressivo sul territorio, o maggiormente organizzato. Se i destinatari
dell’intervento di formazione sono, poniamo, impiegati dell’amministrazione, li
si vorrà forse più attenti a gestire l’importanza anziché l’urgenza, per
programmare meglio il proprio agire.
Ora, su questi solidi valori
professionali, è difficile non trovarsi d’accordo a priori tra formatore e
committente.
A volte ci si ferma qui, altre volte
si cerca di andare un po’ più nel pratico, ma ciò che spesso non viene fatto
abbastanza, è di concordare nel dettaglio e a priori i comportamenti osservabili
che le persone dovranno poi utilizzare per mettere in pratica tali valori, cioè
quelli che abbiamo chiamato comportamenti-bersaglio, e che sostituiscono i veri
obiettivi della formazione.
Essi vanno invece concordati e
descritti con la direzione aziendale sin dall’inizio della fase di
progettazione, per vari motivi.
a) Avere un elenco di comportamenti
dettagliati a cui far tendere il gruppo è una “bussola” di valore inestimabile
per il coach.
b) Questa bussola consentirà non
solo di tracciare un programma improntato al pragmatismo e non allo sfoggio di
cultura, ma anche di poter dire a priori, riunione per riunione, quali
comportamenti verranno condivisi con i coachee.
c) Ciò permette di rendere misurabile
l’efficacia dell’intervento, sì che dopo ogni riunione sappiamo che certi
comportamenti dovrebbero cominciare a comparire qua e là. Si può quindi parlare
di efficacia non solo misurabile, ma addirittura programmata, nel senso che è
possibile predire da quale data un certo comportamento inizierà a essere
sperimentato nella prassi.
I passaggi per identificare i
comportamenti-bersaglio, così come abbiamo potuto svilupparli in quattro anni
di sperimentazione, sono i seguenti.
1.
Descrizione dei valori professionali ai quali ispirare la formazione-coaching
di gruppo. Questo passaggio è realizzato con le modalità usuali dell’intervista
alla committenza, così come viene già normalmente fatto durante la fase di
progettazione.
2. Identificazione delle situazioni nelle
quali la committenza individua le aree di miglioramento. Un’area di miglioramento nei comportamenti
non si palesa e non è ugualmente rilevante in tutte le situazioni professionali
osservabili. Occorre quindi limitare il campo dell’analisi, individuando le
situazioni specifiche in cui si desidera un cambiamento. Tali situazioni vanno
descritte in termini di input e di output verso e da i destinatari
dell’intervento formativo.
Occorre cioè descrivere, per
ciascuna situazione, quali input arrivino alla persona dall’ambiente, e quali
output normalmente essa invii come risposta.
Facciamo un esempio pratico. Il
trainer ha ricevuto dalla Direzione HR il compito di trasferire a un gruppo di
impiegati amministrativi le tecniche ed i criteri di gestione e organizzazione
del proprio tempo (Time Management).
Nella nostra ipotesi, la committenza
desidera che le persone inizino a ragionare per priorità, e non per urgenza (valore professionale).
Alla richiesta di descrivere le situazioni, così si esprime
il committente:
“Il loro lavoro è continuamente scandito da interruzioni da parte di
clienti interni - tipicamente i
commerciali, ma non solo – e da colleghi, che richiedono informazioni e
consigli o che sollecitano l’avanzamento di talune pratiche, per esempio la
fatturazione attiva o il pagamento di certi fornitori. Normalmente il loro
approccio consiste nell’interrompere qualsiasi cosa stiano facendo, per dare
una risposta immediata all’utente o collega, nell’intento evidente di
liberarsene nel più breve tempo possibile. Il che si traduce, quasi sempre, in
una risposta interlocutoria, come “la tua fattura dovrebbe essere emessa in un
paio di giorni”, ma non in una vera risoluzione del problema. Il
risultato è che la persona si è interrotta, ha perso del tempo, e il problema
non è stato risolto; questo avviene decine di volte al giorno per ognuno di
loro, e non di rado alla sera ci si rende conto che non si è combinato nulla di
conclusivo né per gli utenti, né per il lavoro al quale ci si stava dedicando e
che è stato interrotto tante volte.”
Qui abbiamo almeno due situazioni (il collega che chiede informazioni o
consigli, e l’utente che indirizza dei solleciti riguardanti la fatturazione
attiva o i pagamenti), che hanno input tecnicamente simili ed un identico output:
una risposta evasiva.
L’intento è quello di liberarsi del
collega o dell’utente nel più breve tempo possibile, e sarà interessante, nel
proseguimento della fase di progettazione e anche durante il coaching, di
verificare quali paradigmi nascosti determinino tale comportamento. Per ora si
può ipotizzare che essi siano i seguenti tre, o altri ancora:
-
la
convinzione che “dare retta” al collega o al cliente interno rappresenti una
perdita di tempo;
-
la
convinzione che, se si promettesse a un collega o a un cliente, di risolvergli
davvero il problema in un momento migliore, ma a breve, sarebbe una promessa
vana e comunque che non si sarebbe creduti;
-
la
convinzione di non essere padroni del proprio tempo, e che bisogna in qualche
modo “far stare buoni” colleghi e utenti, per non ricevere rimbrotti dai capi.
Molte possono essere le cause, ma non è il caso di dare un
credito assoluto a quello che ne dice il committente – il quale è pur sempre
una persona e quindi ci darà un parere, che non è detto corrisponda alla realtà.
Molto più produttivo sarà, in questa fase, concordare
quali comportamenti sarebbe auspicabile
sostituissero progressivamente quelli in uso.
Ora, si potrebbe ad esempio concordare con la committenza che
i comportamenti-bersaglio saranno:
*
Dedicare
attenzione all’ascolto dell’utente in quel momento se ciò che si sta facendo
non riveste importanza o – a parità d’importanza – urgenza maggiore
*
Nel
caso in cui si decida che non ci si può occupare in quel momento della
richiesta dell’utente o del collega, proporgli di risentirsi dopo un tempo
ragionevole (es. due ore).
*
Appuntarsi
di richiamare l’utente o collega nel momento concordato. Ri-concentrarsi su
quanto si stava facendo.
*
Tener
fede alla promessa fatta al collega/utente.
Come si vede, le competenze da potenziare qui sono l’ascolto
attivo, la capacità di classificare gli impegni e le attività per importanza,
la negoziazione con il collega o l’utente.
Si noti: quanto faceva e fa la formazione tradizionale è
assolutamente raccomandabile, e noi stessi proponiamo di continuare a farlo. Sino
ad ora, la formazione tradizionale si limitava a far condividere l’opportunità
logica, etica o organizzativa dei valori, descriveva tecnicamente i
comportamenti, e proponeva una serie di esercitazioni per iniziare a sviluppare
le competenze. In altri casi, nel far condividere la correttezza dei valori,
passava a spiegare le basi scientifiche o teoriche delle competenze, per
concludere “mimando” i comportamenti e facendoli esperire in aula nel corso di
role-.playing o altri giochi di gruppo.
Quello che la formazione tradizionale di solito non fa è
piuttosto di stimoolare i membri del gruppo a trovare il
“proprio stile” nell’applicare la tecnica o il comportamento specifico.
Nella fattispecie qui descritta, si potrebbe – per fare un
esempio – chiedere a tutti di immaginarsi con quali parole chiedere al
collega/utente di pazientare due ore.
Poco importa che il “testo” del messaggio che ne uscirà sia
pienamente ortodosso secondo i dettami della Programmazione Neurolinguistica o
della Comunicazione Assertiva. L’importante è che non contenga errori tattici
notevoli e soprattutto che le parole che lo compongono siano frutto spontaneo
della libera elaborazione dei coachee. Se è un prodotto delle loro menti, allora
suonerà loro naturale e credibile.
Il che consentirà loro di utilizzare quella frase con
convinzione e credibilità.
Esiste dunque un legame stretto fra le potenzialità di una
persona o di un gruppo, e quello che abbiamo chiamato “il suo stile”. Teoricamente,
non sarebbe necessario porre in evidenza
ed esplicitare tale legame (“scegliete questa frase e non sorprende, perché
denota una spiccata curiosità per gli esseri umani, che come abbiamo visto è
una peculiarità di questo gruppo”), però è opportuno, perché consolida
l’identità del gruppo stesso.
Una volta che il gruppo, o i coachee individualmente o a
coppie, ha elaborato le modalità con le quali utilizzare il
comportamento-bersaglio secondo il proprio stile, saremo ormai verso la fine
della riunione, che dovrà concludersi con l’impegno, da parte di tutti, di
sperimentare l’applicazione di quanto concordato nel periodo che intercorrerà
sino alla riunione successiva.
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